“La sensazione di
diversità e di disagio mi ha accompagnato fin da piccolo. Anche solo
uno sguardo altrui, mi colpisce e mi fa pensare. Ho paura di tutto e
invece vorrei sentirmi libero di andare. (…) Mi fa schifo tutto. A
volte non riesco ad alzarmi. Mi da fastidio uscire. Disprezzo un po'
tutto della mia immagine. Prima andavo in tilt perchè mi paragonavo
esteticamente agli altri. Ora se penso alla vita di una persona e la
paragono alla mia sto male. (…)
Penso che quando morirò non resterà nulla di me su questo mondo. Non sto cercando un cambiamento. Sto cercando una sensazione di accettazione, di felicità.” C.P.
Penso che quando morirò non resterà nulla di me su questo mondo. Non sto cercando un cambiamento. Sto cercando una sensazione di accettazione, di felicità.” C.P.
In questi ultimi anni, nel variegato quadro del disagio giovanile e
della dispersione scolastica, sta emergendo anche in Italia un
profilo particolare e in gran parte nuovo: alunni che rarefanno la
propria frequenza scolastica, fino al ritiro da scuola, non tanto per
disinteresse o per insuccesso negli studi, quanto perché non
riescono più a reggere i contesti sociali. Spesso il primo contesto
sociale ad essere rifiutato è proprio la scuola, ma non sempre è
così. Infatti le traiettorie che portano gli adolescenti al rifiuto
dei contesti sociali sono estremamente diversificate, e - ad oggi -
ancora in via di individuazione.
Nelle scuole dell’Emilia-Romagna in questi anni si sta registrando
un numero crescente di abbandoni scolastici di ragazzi che presentano
particolari tipologie di disagio nei rapporti sociali; un disagio
profondo, che arriva fino al rifiuto di contatti con altre persone e,
a volte, anche con la propria famiglia. Nei casi più estremi di
ritiro sociale, vi sono ragazzi che non escono dalle loro stanze e
vivono le relazioni soltanto sui social e tramite Internet.
Sono 346 i casi segnalati: 20 di queste segnalazioni riguardano la
scuola primaria, 86 la scuola secondaria di I grado e 240 la scuola
secondaria di II grado.
Poche o molte, le 346 segnalazioni? Per fornire una prospettiva quantitativa di raffronto del
fenomeno (non certo per paragonare i dati in quanto tali) vale
osservare5 che nel 2015 i disturbi del comportamento alimentare in
Emilia-Romagna erano 341, le “sindromi affettive” 339, i deficit
visivi 265, i deficit uditivi 346, i disturbi di personalità 225.
Possiamo dunque dire che il fenomeno ha la stessa
dimensione quantitativa, in regione, di deficit e disturbi ben più
noti e studiati, per i quali sono sufficientemente diffuse le
competenze per l’integrazione scolastica.
La scuola constata il rarefarsi della frequenza di questi ragazzi,
fino all’abbandono scolastico, ma non è detto che venga informata
di quello che sta accadendo e neppure che, una volta informata, sia
in grado di intuirne la gravità. Spesso le famiglie stesse non
riescono a comprendere, a darsi ragione di ciò che sta succedendo e
neppure sanno cosa fare.
Una volta informata, la scuola stessa potrebbe non trovare il modo
per essere utile al ragazzo, stante il frequente rifiuto al
mantenimento di un seppure flebile contatto. A nulla servono, in
taluni casi, la disponibilità offerta dalle scuole per mantenere le
relazioni con ragazzi “ritirati”, mediante visita a casa dei
docenti od utilizzo di connessioni social con i compagni di classe.
Viene rifiutato non soltanto il rapporto con i docenti a scuola, ma
anche a casa propria; viene rigettato pure il rapporto con i
compagni, anche a distanza.
Il fenomeno, registrato negli anni ’80 del secolo scorso in
Giappone, si è poi progressivamente diffuso, manifestandosi in altre
aree, in Estremo Oriente come in Occidente. Il termine con cui in
genere vengono identificate le persone ritirate in casa è di origine
giapponese: Hikikomori che significa ritiro, ritirato, ma Gustavo
Pietropolli Charmet ripropone in Italia la più suggestiva
definizione di “eremiti sociali”.
Le condizioni che portano adolescenti e giovani a chiudersi in casa,
o addirittura nella propria stanza, sono state ampiamente studiate in
Giappone 3 e nelle culture dell’Estremo Oriente. Molto meno
evidenti sono i percorsi psicologici, relazionali, emotivi, sociali,
dei giovani occidentali.
“La
condizione di isolamento e ritiro sociale si insinua nella vita di
tutti i giorni in modo graduale e quasi impercettibile. Mentre si
fronteggiano le prime difficoltà legate all’ansia sociale spesso
accade che il livello di funzionamento sia sufficiente per condurre
una vita soggettivamente accettabile: anche se la persona si trova
spesso a fare i conti con situazioni o individui che preferisce
evitare, in una prima fase riesce a gestirli, magari tenendosene alla
larga.
L’aver temporaneamente
eliminato l’ansia relativa al giudizio (evitando) ha però un
costo: fa sperimentare livelli di frustrazione e sofferenza, dovuti
alle valutazioni post evento e agli autogiudizi negativi su di sé.
Inizialmente, queste emozioni e credenze negative, riferite alla
propria persona come inadeguata e incapace, risultano ancora
abbastanza tollerabili; continuando però a mettere in pratica questa
“tecnica di sopravvivenza”, si rischia di innescare un circolo
vizioso per il quale le situazioni o le persone evitate divengono
delle entità estremamente minacciose, accrescendo ancora di più la
loro pericolosità e avvalorando la credenza che esse siano
impossibili da affrontare e che debbano essere evitate ad ogni costo,
poiché non siamo in grado di fronteggiarle.
Fuggire e proteggersi
diventano l’unica soluzione per ovviare a questo problema,
incrementando ancora di più il senso di pericolo e di inadeguatezza
di fronte a tali situazioni.
Sfortunatamente spesso capita
che, con il passare del tempo, le credenze di continua minaccia
sociale e le convinzioni di non essere in possesso dei mezzi adeguati
per fronteggiare tali sfide, si strutturino sempre più a fondo nelle
nostre menti portandoci a generalizzare e a ritenere validi questi
pensieri negativi anche per molte altre situazioni o interazioni
interpersonali. Il mondo esterno ci terrorizza e ce ne sentiamo
isolati.
Ne
consegue che ad un tratto ci si ritrova a dover evitare sempre più
contesti e persone diminuendo gradualmente, in questo modo, i
contatti con il mondo esterno: il numero crescente di assenze
scolastiche, la riduzione dei contatti con gli amici, la chiusura
progressiva e sempre più estesa anche verso i familiari (finendo
talvolta, nei casi più gravi, anche per estromettere gli stessi),
fino alla reclusione vera e propria all’interno di un ambiente
domestico. La credenza che sia impossibile vivere una vita come
tutti gli altri fa crescere a dismisura i sentimenti di frustrazione,
sofferenza, vergogna e senso di colpa dovuti alla convinzione di
inefficacia”.
[ Francesco Lauretta
http://www.ansia-sociale.it/news/ritiro-e-isolamento-sociale]
( tratto dalla Nota dell'US Regionale dell'Emilia Romagna e dalla “Rilevazione nelle scuole dell’Emilia-Romagna degli alunni che non frequentano, “ritirati” in casa, per motivi psicologici”, Novembre 2018)
La nostra esperienza
Ad Agosto 2016,
supportati dall'Associazione Casina dei Bimbi e dall'Associazione
Sentire le Voci, la famiglia V. ha denunciato la situazione di
abbandono istituzionale della propria figlia in situazione di fobia
scolare e ritiro sociale, presso la pubblica Amministrazione di
Reggio Emilia, che pertanto si è attivata per venire incontro alle
richieste della famiglia ed ha organizzato un Tavolo di lavoro per
analizzare il fenomeno delle Fobie Scolari e Sociali e mettere in
rete Associazioni e Servizi, nel cercare di realizzare progettualità
per queste particolari situazioni.
In qualità di
Associazione che opera in ambito antidispersione, è stata richiesta
la presenza di un nostro Consulente al Tavolo sulle Fobie Scolari e
Sociali, che vede la partecipazione di alcuni soggetti del settore
sociale pubblico e privato, quali il Provveditorato, la responsabile
dei Servizi Sociali del Comune di RE, la NPI, le Associazioni Casina
dei Bimbi e Sentire le Voci, due rappresentanti delle scuole
secondarie di primo grado, la Cooperativa Giro del cielo,
l'Università degli studi di RE.
I lavori del Tavolo,
iniziati a Settembre 2016 hanno prodotto la stesura di un primo
documento contenente delle linee guida per le scuole, le famiglie, i
servizi socio-sanitari per leggere precocemente i segnali del disagio
e per intervenire in modo precoce ed efficace.
Purtroppo ad oggi i
lavori non sono ancora stati conclusi e le scuole e i servizi
reggiani non hanno ancora una strategia di intervento condivisa.
Attraverso il Tavolo
però, sono giunte alla nostra Associazione, diverse famiglie con
minori in situazioni di fobia scolare e ritiro sociale, con i quali
abbiamo iniziato interventi educativi e di supporto all'istruzione
parentale, lavorando in rete con le scuole, i Servizi e le famiglie. Ad oggi sono 5 le famiglie che stiamo accompagnando e supportando che hanno minori in situazione di ritiro sociale.
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