mercoledì 15 maggio 2019

Adolescenti eremiti sociali



La sensazione di diversità e di disagio mi ha accompagnato fin da piccolo. Anche solo uno sguardo altrui, mi colpisce e mi fa pensare. Ho paura di tutto e invece vorrei sentirmi libero di andare. (…) Mi fa schifo tutto. A volte non riesco ad alzarmi. Mi da fastidio uscire. Disprezzo un po' tutto della mia immagine. Prima andavo in tilt perchè mi paragonavo esteticamente agli altri. Ora se penso alla vita di una persona e la paragono alla mia sto male. (…) 
Penso che quando morirò non resterà nulla di me su questo mondo. Non sto cercando un cambiamento. Sto cercando una sensazione di accettazione, di felicità.”                              C.P.


In questi ultimi anni, nel variegato quadro del disagio giovanile e della dispersione scolastica, sta emergendo anche in Italia un profilo particolare e in gran parte nuovo: alunni che rarefanno la propria frequenza scolastica, fino al ritiro da scuola, non tanto per disinteresse o per insuccesso negli studi, quanto perché non riescono più a reggere i contesti sociali. Spesso il primo contesto sociale ad essere rifiutato è proprio la scuola, ma non sempre è così. Infatti le traiettorie che portano gli adolescenti al rifiuto dei contesti sociali sono estremamente diversificate, e - ad oggi - ancora in via di individuazione.

Nelle scuole dell’Emilia-Romagna in questi anni si sta registrando un numero crescente di abbandoni scolastici di ragazzi che presentano particolari tipologie di disagio nei rapporti sociali; un disagio profondo, che arriva fino al rifiuto di contatti con altre persone e, a volte, anche con la propria famiglia. Nei casi più estremi di ritiro sociale, vi sono ragazzi che non escono dalle loro stanze e vivono le relazioni soltanto sui social e tramite Internet. 

Sono 346 i casi segnalati: 20 di queste segnalazioni riguardano la scuola primaria, 86 la scuola secondaria di I grado e 240 la scuola secondaria di II grado.
Poche o molte, le 346 segnalazioni? Per fornire una prospettiva quantitativa di raffronto del fenomeno (non certo per paragonare i dati in quanto tali) vale osservare5 che nel 2015 i disturbi del comportamento alimentare in Emilia-Romagna erano 341, le “sindromi affettive” 339, i deficit visivi 265, i deficit uditivi 346, i disturbi di personalità 225. Possiamo dunque dire che il fenomeno ha la stessa dimensione quantitativa, in regione, di deficit e disturbi ben più noti e studiati, per i quali sono sufficientemente diffuse le competenze per l’integrazione scolastica.

La scuola constata il rarefarsi della frequenza di questi ragazzi, fino all’abbandono scolastico, ma non è detto che venga informata di quello che sta accadendo e neppure che, una volta informata, sia in grado di intuirne la gravità. Spesso le famiglie stesse non riescono a comprendere, a darsi ragione di ciò che sta succedendo e neppure sanno cosa fare.
Una volta informata, la scuola stessa potrebbe non trovare il modo per essere utile al ragazzo, stante il frequente rifiuto al mantenimento di un seppure flebile contatto. A nulla servono, in taluni casi, la disponibilità offerta dalle scuole per mantenere le relazioni con ragazzi “ritirati”, mediante visita a casa dei docenti od utilizzo di connessioni social con i compagni di classe. Viene rifiutato non soltanto il rapporto con i docenti a scuola, ma anche a casa propria; viene rigettato pure il rapporto con i compagni, anche a distanza.

Il fenomeno, registrato negli anni ’80 del secolo scorso in Giappone, si è poi progressivamente diffuso, manifestandosi in altre aree, in Estremo Oriente come in Occidente. Il termine con cui in genere vengono identificate le persone ritirate in casa è di origine giapponese: Hikikomori che significa ritiro, ritirato, ma Gustavo Pietropolli Charmet ripropone in Italia la più suggestiva definizione di “eremiti sociali”.
Le condizioni che portano adolescenti e giovani a chiudersi in casa, o addirittura nella propria stanza, sono state ampiamente studiate in Giappone 3 e nelle culture dell’Estremo Oriente. Molto meno evidenti sono i percorsi psicologici, relazionali, emotivi, sociali, dei giovani occidentali.

La condizione di isolamento e ritiro sociale si insinua nella vita di tutti i giorni in modo graduale e quasi impercettibile. Mentre si fronteggiano le prime difficoltà legate all’ansia sociale spesso accade che il livello di funzionamento sia sufficiente per condurre una vita soggettivamente accettabile: anche se la persona si trova spesso a fare i conti con situazioni o individui che preferisce evitare, in una prima fase riesce a gestirli, magari tenendosene alla larga.
L’aver temporaneamente eliminato l’ansia relativa al giudizio (evitando) ha però un costo: fa sperimentare livelli di frustrazione e sofferenza, dovuti alle valutazioni post evento e agli autogiudizi negativi su di sé. Inizialmente, queste emozioni e credenze negative, riferite alla propria persona come inadeguata e incapace, risultano ancora abbastanza tollerabili; continuando però a mettere in pratica questa “tecnica di sopravvivenza”, si rischia di innescare un circolo vizioso per il quale le situazioni o le persone evitate divengono delle entità estremamente minacciose, accrescendo ancora di più la loro pericolosità e avvalorando la credenza che esse siano impossibili da affrontare e che debbano essere evitate ad ogni costo, poiché non siamo in grado di fronteggiarle.
Fuggire e proteggersi diventano l’unica soluzione per ovviare a questo problema, incrementando ancora di più il senso di pericolo e di inadeguatezza di fronte a tali situazioni. 
Sfortunatamente spesso capita che, con il passare del tempo, le credenze di continua minaccia sociale e le convinzioni di non essere in possesso dei mezzi adeguati per fronteggiare tali sfide, si strutturino sempre più a fondo nelle nostre menti portandoci a generalizzare e a ritenere validi questi pensieri negativi anche per molte altre situazioni o interazioni interpersonali. Il mondo esterno ci terrorizza e ce ne sentiamo isolati.
Ne consegue che ad un tratto ci si ritrova a dover evitare sempre più contesti e persone diminuendo gradualmente, in questo modo, i contatti con il mondo esterno: il numero crescente di assenze scolastiche, la riduzione dei contatti con gli amici, la chiusura progressiva e sempre più estesa anche verso i familiari (finendo talvolta, nei casi più gravi, anche per estromettere gli stessi), fino alla reclusione vera e propria all’interno di un ambiente domestico. La credenza che sia impossibile vivere una vita come tutti gli altri fa crescere a dismisura i sentimenti di frustrazione, sofferenza, vergogna e senso di colpa dovuti alla convinzione di inefficacia”.
[ Francesco Lauretta http://www.ansia-sociale.it/news/ritiro-e-isolamento-sociale] 

( tratto dalla Nota dell'US Regionale dell'Emilia Romagna e dalla “Rilevazione nelle scuole dell’Emilia-Romagna degli alunni che non frequentano, “ritirati” in casa, per motivi psicologici”, Novembre 2018)



La nostra esperienza 

Ad Agosto 2016, supportati dall'Associazione Casina dei Bimbi e dall'Associazione Sentire le Voci, la famiglia V. ha denunciato la situazione di abbandono istituzionale della propria figlia in situazione di fobia scolare e ritiro sociale, presso la pubblica Amministrazione di Reggio Emilia, che pertanto si è attivata per venire incontro alle richieste della famiglia ed ha organizzato un Tavolo di lavoro per analizzare il fenomeno delle Fobie Scolari e Sociali e mettere in rete Associazioni e Servizi, nel cercare di realizzare progettualità per queste particolari situazioni.


In qualità di Associazione che opera in ambito antidispersione, è stata richiesta la presenza di un nostro Consulente al Tavolo sulle Fobie Scolari e Sociali, che vede la partecipazione di alcuni soggetti del settore sociale pubblico e privato, quali il Provveditorato, la responsabile dei Servizi Sociali del Comune di RE, la NPI, le Associazioni Casina dei Bimbi e Sentire le Voci, due rappresentanti delle scuole secondarie di primo grado, la Cooperativa Giro del cielo, l'Università degli studi di RE.

I lavori del Tavolo, iniziati a Settembre 2016 hanno prodotto la stesura di un primo documento contenente delle linee guida per le scuole, le famiglie, i servizi socio-sanitari per leggere precocemente i segnali del disagio e per intervenire in modo precoce ed efficace.
Purtroppo ad oggi i lavori non sono ancora stati conclusi e le scuole e i servizi reggiani non hanno ancora una strategia di intervento condivisa.

Attraverso il Tavolo però, sono giunte alla nostra Associazione, diverse famiglie con minori in situazioni di fobia scolare e ritiro sociale, con i quali abbiamo iniziato interventi educativi e di supporto all'istruzione parentale, lavorando in rete con le scuole, i Servizi e le famiglie. Ad oggi sono 5 le famiglie che stiamo accompagnando e supportando che hanno minori in situazione di ritiro sociale. 



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